Chiunque può inserire, attraverso i commenti a questo "post" le proprie considerazioni, riflessioni a distanza di 30 anni.
Si raccomanda di non essere offensivi. In tal caso sarò costretto ad esercitare le mie funzioni di moderatore.
In Irpinia 30 anni fa come all’Aquila l’anno scorso. di Andrea Salandra
L’Appennino ballerino ogni tanto ci ripropone queste tragedie. L’Italia trema.
Per la mia formazione scientifica si tratta di un fatto naturale con cui l’uomo non ha ancora imparato a convivere e/o gestire: con la prevenzione prima di tutto e la gestione dell’evento quanto succede.
Insomma ci vorrebbero maggiori investimenti e far nascere nella gente una vera cultura della Protezione Civile e della prevenzione. E’ amaro considerare che a distanza di 30 anni nulla è migliorato.
E per quanto mi riguarda, pur restando immenso il dolore per la perdita degli affetti più cari, posso assicurarvi che il dopo-terremoto mi ha creato continue amarezze .
Ad iniziare dalle bare che non si trovavano e dal mercato nero che, ricordo, si svolgeva sotto gli occhi di chi invece era preposto ad intervenire. La difficoltà a trovare un saldatore per evitare che le salme venissero messe in una fossa comune.
O il constatare come in un paesino, dove la solidarietà è stata sempre alla base della convivenza, si scatenino istinti di sopravvivenza tali da portare all’indifferenza: mentre alcuni si preoccupavano dei loro morti c’erano altri che si preoccupavano di recuperare le loro damigiane di vino.
Come posso dimenticare le luci fatue che nella notte si aggiravano sulle macerie: sciacalli, magari forestieri, alla ricerca di qualcosa da portare via.
Subito dopo aver sistemato i propri cari, la preoccupazione di ognuno fu quella di recuperare alla meglio le proprie cose, la propria intimità. Una frenesia che non risparmiò nessuno fra quelli che avevano avuto la propria casa distrutte e le proprie cose, anche le più intime, alla mercè di tutti.
Si raccoglieva di tutto e si cercava di assicurarlo in qualche luogo sicuro. Chi scrive accumulò tutto nella casa del nonno, salvo poi dover disfarsi comunque di tutto dopo qualche anno.
Impressionante la solidarietà degli italiani che, specialmente dopo l’appello del Presidente Pertini, inviarono un’enorme quantità di aiuti.. a volte oggetti inutili o che magari venivano lasciati alle prime persone incontrate per strada: fui tra i primi a pensare di raccogliere molti viveri in centro a Temete.
Come dimenticare i primi accampamenti, le prime roulotte. L’unica roulotte che quella gente aveva visto sino ad allora era la mia, quando scendevo per le mie vacanze.
Nei mesi immediatamente successivi le difficoltà furono enormi e l’inverno particolarmente freddo.
Con la primavera la vita avrebbe dovuto riprendere ... ma la popolazione, stordita ancora dalla tragedia, faceva fatica. Un via vai di volontari provenienti da ogni parte d’Italia, da tutta Europa.
Tradizioni e comportamenti che scomparvero e mutarono in pochissimo tempo. Una piccola comunità che sino allora aveva vissuto con i valori di un piccolo paese si dovette confrontare con gente che arrivava sul posto non sempre a fin di bene !!!
I ritmi di una piccola comunità che sino allora aveva basato la propria economia nella coltivazione dei campi, saltarono.
Invece di riprendere la propria attività nei campi la mattina la gente era, ahimè, costretta a rimanere sino alle 10 in paese per aspettare la distribuzione del pane.
Dopo i container di lamiere per i più fortunati incominciavano ad arrivare le “case di Zamberletti” come a l’Aquila, lo scorso anno, sono arrivate le “case di Berlusconi” .. la storia si ripete.
Casette prefabbricate in legno prodotte dalla Rubner di Trento ..... Bellissime e costosissime, dicono !!
Normalmente due camere un bagno ed una piccola sala con angolo cottura che erano state costruite in fretta e furia vicino al Convento, alle pendici della montagna, nella zona più fredda!
Con la ricostruzione, la disgregazione del paese si accentuò.
Gli insediamenti urbani furono diversamente distribuiti: i più a S.Lucia....
I vecchi punti di riferimento erano spariti.
Disorientamento totale: ciononostante, ricorrendo all’uso dell’auto, il sanmennese comunque si spostava per ritrovarsi con gli amici “Sotto la Chiesa” o “Sopra al Ponte” richiamati anche dal vecchio Bar che era resistito al terremoto.
Tutti hanno riavuto la propria casa, qualcuno anche qualcosa di più.
I prefabbricati in legno della Rubner di Trento sono restati. Una saggia decisione dell’Amministrazione ha permesso di trarre profitto da questi caratteristici villaggi, affittando i prefabbricati a chiunque desideri trascorrere qualche tranquillo fine settimana in montagna.
Casette di villeggiatura appunto. Inadatte a chi normalmente durante la giornata avrebbe dovuto recarsi a coltivare la terra.
Impressioni e sensazioni vissute spesso da lontano, intanto che godevo, devo ammetterlo, delle comodità di Verona dove sono rientrato, richiamato dalla nascita della figlia avvenuta un mese dopo il terremoto.
Fui tentato a ritornare e perché no esercitare la mia professione di Geologo che, ricordo, quando frequentavo l’Università mi risultava difficile spiegare in paese.
Mi sembrava di andare a speculare sulla tragedia dei miei genitori...
Per quanto mi riguarda ora come allora penso che fu un errore affidare alle Amministrazioni locali, sino ad allora abituate a gestire dei piccoli bilanci, la gestione del dopoterremoto ed in modo particolare la ricostruzione.
Un sano principio di democrazia difficilmente gestibile in queste occasioni.
Nei giorni immediatamente successivi ad una radio che mi chiese un’intervista proposi di riunire in un unico insediamento più a valle dei tre paesini distrutti: Laviano-Castelnuovo e Santomenna
Se questi tre paesini fossero stati accorpati in un unico Municipio le cose sarebbero diverse e gli amministratori sarebbero stati costretti a pensare e ad agire più in grande. Invece a 30 anni di distanza l’emigrazione è ripresa e più di prima.
Il terremoto poteva essere un’occasione di sviluppo così come lo è stato per i friulani...
E per concludere, una considerazione amara...
A trent’anni di distanza ho capito perché a Santomenna, per certi aspetti una generazione è saltata. Prima perché coloro i quali erano in età di matrimonio durante il terremoto pochissimi si sono sposati e soprattutto perché scorrendo ora l’elenco delle vittime ho notato tanti bambini ...
Il terremoto è anche questo!!!
Andrea Salandra
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Buogiorno Professore,
sono Tonino, in seguito ho cercato di esprimere quanto mi porto dentro da quel 23 novembre 80, a testimonianza per le giovani generazioni, per i miei figli e per i sorrisi ricevuti da chi è perito in quel tragico evento, ad una ferita sempre aperta si aggiunge il rammarico di non poterci essere.
Saluti Tonino.
"
Tonino.